Lo sai che le auto a trazione completamente elettrica, al contrario di quello che la gente comunemente crede, sono state le prime autovetture ad essere prodotte e commercializzate?
Già, ancora prima delle vetture col motore a combustione interna!
I veicoli con motore elettrico (Battery Electrical Vehicle) sono da anni disponibili per il mercato di consumo, ma solo recentemente, con l’abbassarsi dei prezzi finali, sono diventati una vera alternativa ai tradizionali veicoli alimentati dal motore endotermico.
Il futuro non è in discussione: entro breve tempo, gran parte del parco auto mondiale sarà totalmente elettrico oppure adotterà una soluzione ibrida.
Se vuoi sapere di più sull’auto elettrica, e magari fare un pensierino per il suo acquisto, continua a leggere questa pagina.
Cos’è l’auto elettrica?
L’autovettura per il trasporto di persone denominata ‘elettrica’ è una tipologia di veicolo in cui la trazione è garantita da un propulsore elettromagnetico, alimentato dall’energia chimica contenuta in apposite batterie ricaricabili.
All’inizio del XIX secolo, grazie agli studi e gli esperimenti di grandi scienziati come Alessandro Volta, Luigi Galvani, James Clerk Maxwell e Micheal Faraday, l’essere umano riuscì a spiegare a livello matematico l’elettromagnetismo, e si scoprì che alcuni materiali potevano creare una differenza di potenziale se opportunamente ‘impilati’ in una struttura coesa (la pila voltaica).
Col tempo e con gli studi e sperimentazioni, si scoprì inoltre che un metallo conduttore che girava parallelamente ad un campo magnetico produceva una forza elettromotrice.
Tale forza, cioè un flusso elettronico che poteva essere usato per compiere lavoro, poteva scorrere bidirezionalmente in un circuito elettrico: l’energia elettrica poteva anche muovere un rotore, compiendo quindi lavoro meccanico.
Lo sviluppo del motore elettrico, cioè un motore che sfrutta l’energia elettrica per ruotare e compiere lavoro, si ritiene sia una delle più grandi conquiste dell’umanità, capace di permettere lo sfruttamento di una fonte energetica per secoli conosciuta ma ritenuta misteriosa, ovverosia l’energia elettrica.
L’auto elettrica moderna non è concettualmente dissimile dai primi prototipi di fine ‘800: il veicolo è spinto da un motore elettromagnetico che prende energia da un pacco batterie, che a loro volta sono state caricate con una grande quantità di elettroni in grado di creare un fluido elettrico costante, di una certa intensità e con una certa differenza di potenziale.
Un progetto antico rivalutato
I primi prototipi di auto con un motore elettrico erano abbastanza lenti, pesanti e consumavano velocemente l’energia contenuta in batterie con una limitata capacità di accumulo.
Furono comunque prodotti in serie e venduti, anche gli altissimi costi dell’epoca li confinarono solo a certe fasce di popolazione, abbienti a tal punto da permettersi non solo il costo dell’auto, ma anche delle frequenti ricariche delle batterie. Le autonomie dell’epoca, strozzate da batterie ben poco capaci e peso delle vetture elevato, difficilmente superavano il centinaio di chilometri, mentre le velocità erano anch’esse molto contenute, almeno per gli standard odierni: circa 30km/h, all’epoca comunque una velocità considerata altissima.
Per tutta la fine del XIX secolo, vi furono aspre battaglie tra costruttori, scienziati ed ingegneri per stabilire quale fosse il miglior sistema di trazione per la ‘voiture automobile’, ma spuntò alfine il molto più potente motore a combustione interna, che impose lo standard tutt’ora in essere.
Con l’avvento della gigantesca industria dell’auto e del motore endotermico, i prototipi per nuove autovetture elettriche furono totalmente abbandonati almeno fino alla fine degli anni ‘60 del 1900.
Vi fu una certa ripresa dei progetti, soprattutto ad opera di industrie europee come la FIAT, solo durante gli anni ’70: la prima, grande, crisi dei carburanti, spinse i progettisti a ripensare ai motori elettrici come alternativa agli endotermici, ma tutti i progetti non uscirono comunque mai dallo stadio di prototipo.
Il grosso ritorno d’interesse per la tecnologia elettrica è da attribuirsi ai colossi giapponesi come Toyota e Honda che, a partire dalla metà degli anni ’90, ripensarono totalmente la propulsione elettrica, abbandonando le vecchie batterie all’acido-piombo in favore delle più performanti NiMH.
Complice la consapevolezza della sistematica diminuzione degli approvvigionamenti mondiali di petrolio, una progressiva e schiacciante mobilitazione pubblica in favore dell’ecologismo e contro l’inquinamento, nonché delle imposizioni legislative sempre più ferree, le grandi industrie mondiali si sono da anni orientate quasi esclusivamente sul passaggio dalla propulsione endotermica a quella elettrica. Un grande impulso alle nuove progettazioni delle autovetture elettriche è stato dato dall’introduzione commerciale delle batterie al litio (Li-Ion e LiPoly) che, con la loro aumentata densità e capacità di accumulo, hanno consentito di raggiungere autonomie un tempo impensabili, se non agendo in maniera significativa sul peso totale della vettura.
Diversi tipi di auto elettrica
Tutte le auto elettriche, indipendentemente dalla marca o dal modello, hanno alcune caratteristiche comuni:
- Montano uno o più propulsori elettromagnetici, ad induzione trifase AC oppure in trifase DC del tipo senza spazzole (brushless);
- L’energia elettrica per alimentare il propulsore è fornita da uno o più pacchi batterie ricaricabili con tecnologia al litio (Li-Ion, LiPoly oppure le litio-ferro-fosfato);
- Devono essere ricaricate alla rete elettrica, per via conduttiva o per via induttiva
I motori elettrici trifase in corrente alternata o trifase senza spazzole a corrente continua hanno prestazioni e rendimenti differenti, con differenti vantaggi e svantaggi.
Il motore alternato ad induzione fornisce più coppia iniziale e ha un rendimento costante durante tutto il suo utilizzo, riuscendo a sfruttare fino all’ultimo l’energia proveniente dalla batteria, senza perdere di potenza. Il motore continuo brushless a corrente continua è invece meno potente e più discontinuo, ma ha un rendimento totale superiore al trifase in corrente alternata.
Le autovetture elettriche moderne hanno generalmente più di un motore elettrico (almeno due per ogni asse della vettura), che lavorano in sincronia tra di loro (parallelismo), controllati elettronicamente da uno o più processori centrali.
Non avendo il problema del numero minimo di giri rispetto ad un motore endotermico, la trasmissione in un motore elettrico è superflua: molte auto elettriche sono infatti dotate di una semplice riduzione a rapporto fisso, in quanto il motore eroga già alta coppia a ruote ferme.
Solo nei modelli capaci di raggiungere elevatissime velocità e di altrettanto altissimo costo, è presente una mini-trasmissione a due marce, totalmente automatizzata.
Le batterie e l’autonomia
Le prime autovetture elettriche prodotte nella metà dell’800 utilizzavano dei grandi pacchi-batteria con tecnologia al piombo-acido, inventata dal francese Gaston Planté.
Questo tipo di accumulatore è stato, per tanti anni, l’unico modo conosciuto per convertire l’energia chimica in energia elettrica, prima dell’invenzione della dinamo.
Anche se estremamente pesante e con poca densità delle celle, la tipologia di batterie al piombo-acido è stata utilizzata per anni (anche in tempi moderni) non tanto per l’efficienza, quanto per il bassissimo costo dei componenti.
Negli anni ’70, con un timido ritrovato interesse per la tecnologia elettrica, gli studi dei produttori si sono riversati sulla ricerca di una nuova tipologia di batterie, e ciò ha permesso prima di passare alla tecnologia al Nichel-Cadmio (NiCd) e poi a quella al Nichel-Metallo-Idruro (NiMH).
La vera rivoluzione però è stata data dall’introduzione degli accumulatori al litio, prima quelli agli ioni di litio (Li-Ion) e poi quelli ai polimeri di litio (LiPoly).
La tecnologia ai polimeri di litio, benché scoperta in via sperimentale già ad inizio ‘900, è un’invenzione sovietica sviluppata in piena ‘Guerra Fredda’: partita come ricerca di un sistema di alimentazione affidabile per i nuovissimi lanciarazzi a puntamento laser, con la disgregazione del blocco sovietico è stata messa a disposizione del mercato commerciale, invadendo quindi ben presto ogni settore dell’elettronica.
Le batterie al litio sfruttano la differenza di potenziale che si crea tra differenti celle di litio opportunamente drogato, capace di accumulare elettroni grazie alle lacune create artificialmente. Nelle batterie ai polimeri di litio, gli ioni di litio sono inglobati in un materiale polimerico, ad elevata densità energetica.
Il maggior vantaggio delle batterie LiPoly è proprio la loro elevatissima densità: a parità di dimensioni, possono contenere circa il 20% in più delle Li-Ion, che a loro volta sono molto più dense (circa il 50%) delle tradizionali NiCd o NiMH. Ciò vuol dire che, grazie alla tecnologia LiPoly, è possibile accumulare più energia elettrica in meno spazio, con meno peso totale dell’autovettura. Un altro grande vantaggio delle batterie al litio è la loro pressoché totale indifferenza all’effetto memoria che affligge le batterie NiCD e NiMH: possono quindi essere ricaricate in qualsiasi momento e a qualsiasi percentuale di carica, senza impattare sulle prestazioni.
L’autonomia media di un’autovettura elettrica moderna va dai 200 ai 300 km di percorrenza, ma il calcolo del reale rendimento è difficile da fare: contano molto alcuni parametri fondamentali, tipo la velocità media di crociera e l’aerodinamicità del veicolo. Soprattutto quest’ultimo punto risulta d’importanza fondamentale nei consumi totali elettrici e, di rimando, nell’autonomia complessiva. Alcuni produttori propongono vari pacchi-batteria, con costi differenti, a seconda dell’autonomia che si desidera avere a disposizione.
Il tempo di ricarica dei veicoli elettrici
L’energia chimica accumulata nelle batterie delle auto elettriche viene convertita in energia elettrica grazie alla differenza di potenziale presente nelle celle voltaiche.
Gli elettroni immagazzinati nelle lacune delle celle scorrono, mossi dalla tensione, in un circuito definito, sempre con la stessa polarità (direzione), attirati dalla carica elettrica a loro opposta. Quando l’ultima cella ha esaurito tutti gli elettroni, si trasforma in un ossido incapace di fornire ulteriore energia.
Per utilizzare ancora la batteria, occorre quindi de-ossidare le celle: durante la de-ossidazione, le celle riassorbono elettroni e accumulano quindi nuova energia chimica.
Questo viene ottenuto collegando la batteria alla rete di alimentazione, che può essere tramite una rete monofase (l’impianto comune nelle abitazioni civili) oppure trifase.
La velocità del tempo di ricarica dipende essenzialmente da due fattori: i kW forniti dall’impianto, la modalità di trasmissione dell’energia (se monofase o trifase), la capacità totale della batteria. Le autovetture elettriche possono essere ricaricate anche collegandole alla rete domestica monofase, ma è una soluzione che prevede dei tempi abbastanza lunghi: solitamente, un impianto domestico in monofase fornisce dai 3 ai 6 kW a 230-240V.
Ciò vuol dire che, a seconda della capacità della batteria, possono essere impiegate molte ore per ricaricare una batteria da 24 kW.
Discorso invece differente con impianti in trifase che riescono a fornire, in uscita, molti più watt.
Le ‘colonnine di ricarica’ sono appositi impianti che possono fornire fino a 200 A a 400 V, rendendo quindi possibile caricare circa l’80% di una comune batteria in pochi minuti.
Generalmente, una moderna auto elettrica connessa ad una colonnina di ricarica rapida, riesce a ricaricare la batteria dell’80% in circa 30 minuti.
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