Circa 300 000 anni fa, quando il genere Homo si evolse in Sapiens, la Terra era già stata sconvolta a più riprese da estinzioni di massa, periodi glaciali ed interglaciali, bombardamenti di meteoriti e svariati altri cataclismi naturali, che ne avevano modificato costantemente l’aspetto, il clima e le forme di vita presenti sopra la sua crosta.
Di certo, ipotizzando per assurdo una ricostruzione obiettiva col senno di poi, forse nessun antropologo avrebbe potuto mai anche solo supporre che un ominide senza artigli, né veleno o zanne potesse riuscire, un giorno, ad arrivare a pesanti modifiche ambientali del pianeta, con proporzioni su scala globale.
Se vuoi sapere l’impatto energetico che l’uomo ha avuto, ed ha correntemente, su questo pianeta, continua a leggere questa pagina.
Il terzo pianeta
La Terra è un pianeta roccioso, relativamente piccolo, formatosi assieme ad una stella (il sole) e ad altri pianeti circa 4,5 miliardi di anni fa.
Le origini del sistema solare sono ancora fonte di dibattito scientifico, ma si ipotizza che la materia/energia necessaria alla formazione di tutto il sistema sia da imputare ad un collasso gravitazionale di una consistente nube molecolare, a sua volta (forse) causata dall’esplosione di una o più supernove.
Nel corso dei suoi miliardi di anni, la Terra si è lentamente formata e plasmata essenzialmente grazie alla forza di gravità, le violente e perenni modifiche climatiche e, in misura minore, grazie all’impatto di altri corpi celesti. Ad esempio il suo unico satellite naturale, ovverosia la luna, è presumibilmente una parte stessa del pianeta, staccatasi per via di una grande collisione con un grande meteorite.
Anche se il pianeta è piccolo, è molto energetico: il suo nucleo composto presumibilmente da ferro e nichel fusi in uno stato semi-liquido emette un forte campo magnetico, e le temperature del sottosuolo sono incandescenti ancora dopo miliardi di anni, anche grazie alle spontanee reazioni di fissione nucleare che avvengono spontaneamente a svariati chilometri sotto la crosta.
Al contrario di altri pianeti rocciosi, la Terra ha una tettonica a placche, retaggio della formazione, ad altissime temperature, di una crosta che si è raffreddata molto più velocemente rispetto alle regioni più profonde del pianeta.
Oltre alla sua energia endotermica, la Terra ha assorbito ed assorbe costantemente energia fotonica direttamente dal sole: questo rende il pianeta un sistema aperto, e permette la sussistenza della vita per come noi la conosciamo.
Un pianeta energetico, adatto alla vita
La Terra è l’unico pianeta conosciuto nel suo sistema solare ad ospitare tutte le forme di vita sinora conosciute.
Lo sviluppo della vita, cioè uno dei tanti modi complessi in cui l’energia si compatta in materia, è stato possibile grazie alla sintesi di grandi quantità d’acqua e l’apporto costante di energia solare, unita ad una posizione astrale favorevole: il pianeta infatti non è troppo distante dal suo sole ma non è neppure così vicino, come ad esempio l’arido e bruciato Mercurio. Nel corso delle ere geologiche, inoltre, l’intenso campo magnetico del pianeta ha efficacemente protetto le sue forme di vita dai raggi cosmici, grazie alla magnetosfera.
Tutta l’atmosfera terrestre è estremamente energetica, in quanto alcuni gas (come ad esempio l’anidride carbonica) riescono a trattenere molto efficacemente parte della radiazione solare, riscaldando costantemente il pianeta.
Alcuni altri gas, come quelli che compongono l’ozonosfera, invece proteggono ulteriormente le forme di vita del pianeta, schermando le radiazioni ad alta frequenza provenienti dal sole, pericolose per molti organismi biologici.
Nel corso delle lunghe ere geologiche, la Terra ha accumulato moltissima energia dal suo sole, e tale energia è stata sempre usata dai suoi organismi biologici per la loro sussistenza.
Alcuni di loro, morendo e decomponendosi, hanno conservato parte dell’energia assorbita durante la vita, comprimendola in qualcos’altro: ad esempio, il petrolio e i combustibili fossili in generale.
Il sole è responsabile anche dei costanti venti che avvolgono il pianeta sin da quando esso si è dotato di un’atmosfera: i fotoni carichi di energia che provengono dal sole riscaldano l’aria, che crea zone di alta o di bassa pressione, responsabili dei venti.
A loro volta, i venti cedono parte della loro energia agli oceani, creando il moto perenne delle onde.
Se la Terra, nel corso dei miliardi di anni, si è raffreddata in superficie, sotto la crosta continua ad avere un’intensa attività geotermica.
A svariati chilometri dalla superficie, nel suo mantello, la roccia si trova in uno stato liquido perenne (magma) per via delle altissime temperature raggiunte grazie ai fenomeni di fissione nucleare di elementi come l’uranio, il torio ed il potassio.
Al suo centro, il pianeta ha un nucleo semi-liquido di ferro e nichel fusi assieme ad altissime temperature, che sprigionano un costante ed intenso campo magnetico.
La grande quantità di roccia fusa del mantello, periodicamente, riesce a spurgare all’esterno, dando origine ai vulcani.
L’avvento dell’Homo Sapiens e lo sfruttamento delle risorse energetiche
Sebbene tutti gli organismi viventi esistiti ed esistenti sulla Terra abbiano costantemente sottratto energia utile al pianeta sotto qualche forma, solo l’Homo Sapiens è riuscito a costruire macchine in grado di convertire molta più energia di quella che, normalmente, riuscirebbe ad approvvigionare da solo col suo corpo.
Sin dalla sua evoluzione in ‘sapiens’, l’uomo ha cominciato a sfruttare le risorse naturali della Terra a proprio vantaggio, nel tentativo di migliorare la propria esistenza.
Anche le prime due attività storicamente e scientificamente assodate dell’uomo, la pastorizia e l’agricoltura, altro non sono che due forme indirette di controllo energetico: dagli animali allevati ed accumulati in quantità l’uomo ha ricavato sia cibo (energia chimica) sia forza lavoro (energia cinetica), mentre l’agricoltura ha permesso all’essere umano di avere sempre a disposizione quantità abbondanti di idrocarburi, fibre e vitamine (tutta energia chimica necessaria al sostentamento).
L’uomo ha cominciato ad avere sin da subito un impatto considerevole sulle risorse energetiche del pianeta: al contrario di altri esseri viventi, anch’essi riuniti in società, l’essere umano ha da sempre prediletto le aggregazioni complesse, unite dal desiderio (o necessità) di sopravvivere in un ambiente essenzialmente ostile.
La complessità delle società umane, crescente nel tempo, ha ben presto fatto abbandonare il nomadismo in favore di installazioni permanenti, in cui praticare agricoltura e pastorizia.
Molti scienziati ritengono che le prime modifiche all’ecosistema terrestre causate dall’uomo coincidano con i suoi primi insediamenti stabili.
Nel corso dei millenni, all’aumentare del numero di essere umani, seppur con fisiologici bilanciamenti causati da pandemie e guerre intestine, le società dell’Homo Sapiens, a livello globale, sono sostanzialmente aumentate di numero ed ampiezza con regolare costanza.
Il consumo di energia globale è quindi praticamente sempre aumentato, seppur con – contenuti – periodi di remissione.
Per secoli l’uomo ha sfruttato solo poche forme di energia, tipo quella eolica o cinetica, ma un radicale cambio di tendenza si è manifestato a partire dal XIX secolo, quando il livello di conoscenza scientifica e di tecnica permisero di scovare altre fonti di approvvigionamento.
Il gigantesco balzo avanti della meccanica, l’invenzione del pistone e della biella, la raffinazione degli idrocarburi e, non meno importante, il controllo dell’elettricità hanno cambiato radicalmente l’impatto energetico su tutto l’ecosistema, a livello globale.
Soprattutto, la raffinazione del petrolio, incluso tutto il suo complesso e costoso processo di ricerca ed estrazione, ha avuto un impatto deciso sulle risorse energetiche accumulate per anni sotto la crosta terrestre.
L’enorme massa di materiale organico carico ancora di tanta energia è stata quindi riportata in superficie, andando a modificare un sistema che, in milioni di anni, si era comunque riadattato con altri parametri.
Tanta energia, ma limitata
Le risorse energetiche del pianeta Terra sono essenzialmente di due tipi:
- Endemiche, cioè accumulate nel corso di miliardi di anni, sotto forma di idrocarburi, attività geotermica e nucleare;
- Esterne, cioè l’energia che il pianeta prende costantemente dalla sua stella, ovverosia il sole
Per secoli, l’uomo ha considerato la Terra come un sistema chiuso, ma in realtà è un sistema che è strettamente dipendente dalla sua posizione astrale rispetto al sole.
Senza l’energia che il sole, quotidianamente, riversa sul pianeta sotto forma di radiazione elettromagnetica, la vita ad esempio sarebbe impossibile: non solo la temperatura del pianeta precipiterebbe ben sotto lo zero, ma le piante non avrebbero energia da convertire grazie alla clorofilla.
L’energia solare è quindi la fonte primaria della sussistenza stessa della vita su tutto il pianeta, e solo recentemente l’uomo è riuscito (in parte ed ancora con poca efficienza) a sfruttare per compiere lavoro.
Se l’energia fornita dal sole è illimitata, quella delle risorse interne della Terra è invece ben più che limitata.
Fino ad ora, l’uomo ha usato essenzialmente i combustibili fossili come fonte primaria di energia, ma la biomassa del petrolio e del carbone è in via di esaurimento: è bastato poco più di un secolo di intenso sfruttamento per diminuire drasticamente i giacimenti e, anche se per ora i paesi produttori di greggio ancora riescono a soddisfare la domanda, si ritiene da anni che la media dei 100 milioni di barili al giorno (in crescita) non potrà essere mantenuta per un altro secolo.
Gli idrocarburi rappresentano un grosso problema e forse il più grande vincolo allo sviluppo tecnologico umano: vengono intensamente usati per la produzione di energia elettrica e la trazione dei motoveicoli, indirettamente anche quelli totalmente elettrici.
Il loro consumo aumenta di molto il livello di entropia del pianeta, e produce anche pesanti effetti sul clima: le emissioni di CO2, il principale gas responsabile dell’effetto serra, da fenomeno locale come inizialmente ipotizzato sono diventate uno dei problemi maggiori degli ultimi anni, in quanto responsabili di un ormai accertato surriscaldamento globale della temperatura media.
L’energia nucleare
Grazie all’intenso sviluppo della fisica teorica, in particolar modo della meccanica quantistica, avvenuto all’inizio del XX secolo, dagli anni ’50 in poi l’essere umano ha potuto sfruttare un altro tipo di energia, abbastanza abbondante sul pianeta: quella degli elementi radioattivi.
In chimica e in fisica, un elemento si definisce ‘radioattivo’ quando la sua struttura atomica non risulta stabile, ovverosia decade spontaneamente per trasformarsi in un altro elemento. Per la nota equazione di Albert Einstein, E=mc2 tale decadimento produce una trasformazione: parte dell’elemento originario diventa un altro elemento, con un peso atomico però inferiore rispetto a prima del decadimento.
L’altra parte diventa energia, principalmente non più idonea per il lavoro. Una piccola parte di energia, però, si disperde sotto forma di radiazioni alfa, beta o gamma.
È possibile quindi recuperare parte di questa energia per utilizzarla per compiere lavoro.
Enrico Fermi, un fisico italiano, intuì per primo che è possibile sfruttare il decadimento naturale di alcuni elementi radioattivi, come alcuni isotopi dell’uranio ed altri elementi artificiali come il plutonio, per accelerare questo processo di fissione dei nuclei, con l’intento di recuperare la loro energia.
Il 2 dicembre 1942, Fermi riuscì a rendere critico (cioè con produzione di energia) il primo reattore nucleare della storia, a Chicago: da lì in poi, l’uomo cominciò a costruire, un po’ in tutto il mondo, centrali nucleari per la produzione di energia elettrica.
L’uranio, elemento diffuso in tutta la Terra, è un metallo che è scarsamente presente nella crosta terrestre (sempre in combinazione con altri elementi), ma è abbondantissimo nell’acqua di mare e, soprattutto, nel mantello del pianeta.
Grazie alla sua abbondanza nel mantello, infatti, la Terra si mantiene costantemente incandescente al suo interno, poiché le grandi quantità di materiale sono costantemente sotto fissione spontanea, producendo quindi grande calore. Sulla crosta, l’uranio deve invece essere estratto, con grandi costi, principalmente dalla roccia pechblenda.
Per eseguire una buona fissione in un reattore, c’è però bisogno di un particolare isotopo dell’uranio, ovverosia il 235U, ben poco abbondante (circa lo 0,7% di tutto l’uranio mondiale).
Per risolvere il problema e permettere la reazione di fissione controllata, c’è bisogno di mischiare il 235U all’uranio chiamato ‘naturale’, un altro isotopo dell’uranio, il 238U.
Tale processo di ‘arricchimento’ è molto dispendioso, sia a livello energetico che economico.
Per eseguirlo, c’è bisogno di enormi complessi specifici, oltreché di un altissimo livello di tecnologia: per questo solo pochi paesi al mondo possono farlo, e tutti gli altri sono giocoforza costretti a comprare l’uranio da loro.
Ciò è uno dei problemi principali per lo sviluppo dell’energia atomica di fissione.
Un altro problema non di poco conto, è la produzione di scorie radioattive come sottoprodotto delle reazioni di fissione nucleare.
Queste scorie non sono più usabili per produrre altra energia, ma sono comunque tossiche, in quanto ancora radioattive: devono perciò essere stoccate in sicurezza in un deposito, operazione tutt’altro che semplice in quanto economicamente dispendiosa e molto mal vista dall’opinione pubblica.
Sebbene una centrale a fissione nucleare non inquini l’ambiente, non producendo direttamente né CO2 né combusti, viene considerata ‘inquinante’ proprio per la continua produzione di scorie post-lavorazione.
Un problema al momento non risolvibile, che ha fatto desistere dall’idea di utilizzare tale tecnologia molti paesi, tra cui l’Italia.
Il futuro dell’energia nucleare è da molti considerato quello della fusione controllata di alcuni isotopi dell’idrogeno, ma al momento tutti i reattori progettati e costruiti sperimentalmente sono ancora ben lontani da livelli accettabili di criticità.
Le energie ‘rinnovabili’
Per ‘energie rinnovabili’ s’intendono tutte quelle forme energetiche che non dipendono dallo sfruttamento di risorse considerate ad esaurimento, come ad esempio gli idrocarburi.
In effetti, prima del grande balzo tecnologico dettato dai combustibili fossili, l’essere umano ha per millenni sfruttato principalmente le uniche energie che poteva convertire in lavoro con macchine semplici: aria, acqua e gravità, con intenso utilizzo anche dell’energia cinetica fornita dagli animali.
Sono ottimi esempi di ciò le vele, i mulini (sia ad acqua che a vento), le carrucole, le leve, le pulegge e i piani inclinati.
Lo scienziato siracusano Archimede, nel II secolo avanti Cristo, fu tra i primi ad accorgersi che la radiazione luminosa proveniente dal sole poteva essere usata come potente arma: convogliando i raggi solari in un unico punto, per mezzo di grandi specchi detti ‘ustori’, l’esercito siracusano causò enormi danni alle navi da guerra romane, che bruciavano completamente in pochi secondi. Lo stesso principio degli specchi ustori, secoli più tardi, sarà riproposto in chiave moderna per costruire le centrali solari termodinamiche.
L’energia solare è cominciata ad essere appetibile come fonte di produzione elettrica da quando, nella seconda metà del dopoguerra, si cominciarono a costruire i primi pannelli fotovoltaici con una resa energetica accettabile.
Il più grande problema del solare fotovoltaico è l’instabilità dell’approvvigionamento energetico: nuvole, intemperie e giorni di cielo coperto sono una spina nel fianco degli impianti moderni, che raggiungono rese ancora troppo basse per poter alimentare grandi agglomerati urbani.
L’idea futura, di posizionare i pannelli direttamente in orbita terrestre e inviare l’energia sulla terra grazie alle microonde migliorerebbe di molto la resa, ma ha ancora costi d’avvio improponibili.
Con la scoperta della forza elettromotrice generata da un conduttore rotante in un campo magnetico, l’essere umano ha quasi subito ben pensato di sfruttare il principio dei vecchi mulini ad acqua per costruire le centrali idroelettriche.
Attualmente, centrali che convertono l’energia cinetica dell’acqua in movimento o l’energia potenziale di due dislivelli d’acqua sono i più antichi esempi ‘moderni’ di fonti energetiche completamente pulite e rinnovabili.
Il problema delle centrali idroelettriche, sia ad acqua scorrente che a dislivello, è il loro costo di realizzo: sono molto costose sia da progettare che da realizzare, e richiedono enormi investimenti di capitali e di tempo.
L’energia eolica, ossia l’energia insita nei venti, è in realtà una forma differente di energia solare: lo spostamento delle masse d’aria della Terra è dovuto solo in minima parte alla sua rotazione, e quasi totalmente invece dall’effetto del calore proveniente dal sole, che riscalda l’atmosfera creando zone di alta o bassa pressione.
Esattamente come i vecchi mulini a vento, i moderni impianti eolici convertono meccanicamente l’energia eolica in energia elettrica, grazie alla trasmissione del moto agli alternatori. Al momento, l’energia eolica ha raggiunto ottimi gradi di efficienza, arrivando a rese fino al 60%.
Un ottimo risultato davvero, che però deve fare i conti con i costi degli impianti, ancora eccessivi e, soprattutto, della deturpazione del suolo causata dalle pale.
Un pianeta delicato, un’energia limitata
La Terra è un ecosistema estremamente fragile, come più volte dimostrato nelle ere geologiche. Basta un piccolo turbamento locale per causare effetti su scala globale, alcuni anche drammatici. Dopo secoli di disinteresse, l’essere umano sembra essersi reso conto della delicatezza del mondo in cui vive.
Il Gruppo, con il suo brand AGN Energia, è da sempre in prima linea nella ricerca di sistemi di approvvigionamento sostenibili, etici e puliti.
Vogliamo preservare questo pianeta per le nostre future generazioni, e per farlo riteniamo che si debba preservare quanta più energia possibile, utilizzando al meglio quella già disponibile e trovando nuove strade per quella futura.
Un costante lavoro di ricerca e sviluppo, che il Gruppo ritiene imprescindibile dal suo modello etico di lavoro.